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Credit crunch

  • ufficiostampa07
  • 18 mar
  • Tempo di lettura: 1 min

Il rischio usura si espande anche a causa del credit crunch, denuncia l'ufficio studi della Cgia.

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Il post Covid

Ad eccezione degli anni caratterizzati dalla crisi pandemica, dal 2011 ad oggi sono crollati i prestiti bancari alle imprese italiane. A fronte dei 1.017 miliardi di euro erogati verso la fine del 2011, siamo scesi a 711,6 miliardi del febbraio 2020 (inizio pandemia). Dopo l’incremento avvenuto durante il periodo Covid che ad agosto 2022 aveva innalzato

lo stock erogato a 757,6 miliardi di euro, è ripresa la riduzione e a settembre di quest’anno si è attestata a 667 miliardi.


Le cause del crollo

In 12 anni, rispetto al picco massimo erogato nel 2011, le imprese hanno perso 350 miliardi di prestiti bancari, pari al -52,4%. Gli effetti della crisi del debito sovrano (2012-2013), le restrizioni normative imposte dalla BCE alle banche per limitare la proliferazione degli NPL e, in parte, anche il calo della domanda di credito, sono le cause di questa caduta verticale.


Verso le organizzazioni malavitose

Pertanto, non è da escludere, anzi, che la chiusura dei rubinetti del credito praticata dal sistema bancario abbia contribuito a “spingere” involontariamente molti lavoratori autonomi e altrettanti piccoli imprenditori a corto di liquidità verso le organizzazioni malavitose che, mai come nei momenti difficili, hanno la necessità di reinvestire nell’economia legale i denari provenienti dalle attività criminali.


Una stretta del credito (in inglese credit crunch) è un'improvvisa riduzione della disponibilità generale di prestiti (o credito) o un improvviso stringimento delle condizioni richieste per ottenere un prestito dalle banche.
 
 
 

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